La musica delle emozioni: il rancore.
- StudioAssociatoÀgape
- 10 set 2020
- Tempo di lettura: 4 min
“Mi ricordi che il rancore non è mai servito a niente
E invece è utile a saper distinguere
L'amore dal rumore
Un cuore da un coglione
Milioni di parole”
(Rancore – Levante)
Le parole del testo “Rancore” di Levante arrivano dritte e forti come un pugno allo stomaco. D’altronde proprio lo stomaco è stato definito sede del cervello emotivo. Le emozioni, proprio come la musica, chiedono di essere ascoltate e questo testo, sicuramente di impatto, ci permette di approfondire una delle tante emozioni che si possono provare.
Il rancore è, infatti, una delle emozioni cosiddette complesse e spesso è socialmente percepita come qualcosa di demoniaco. Chi prova rancore nella nostra società è etichettato come una brutta persona che non sa perdonare.
Quando si parla di emozioni si tende a dividerle in positive e negative. In questo modo però esse vengono implicitamente rivestite di giudizio e ritenute rispettivamente giuste e ingiuste, belle e brutte, buone e cattive. Così chi prova gioia, gratitudine, meraviglia è una bella persona. Chi invece prova rabbia, disgusto, rancore, non lo è.
Ma è davvero così?
Le emozioni sono definite come esperienze soggettive complesse, accompagnate da modificazioni cognitive, comportamentali, espressive e fisiologiche intense, ma generalmente di breve durata. Hanno da sempre il compito di garantire la sopravvivenza dell’essere umano, ad esempio la paura permette di evitare situazioni pericolose e spinge a mettere in atto dei comportamenti di protezione. La tristezza spesso induce a riflettere su qualcosa che non va, e a modificare la situazione per tornare in uno stato di gioia. La rabbia segnala a sé stessi e all’altro che quella situazione è spiacevole. Quindi le emozioni hanno il compito di proteggere, indurre al cambiamento, favorire il benessere e comunicare agli altri come ci si sente.
Ma torniamo al rancore, perché è così importante?
L’etimologia del termine, svela già la sua essenza. “Rancor” è un termine di origine tardo-latina che indica una richiesta lamentosa, ma il temine rancore può essere ricollegato anche al verbo “rancere” utilizzato per riferirsi al cibo andato a male, dall’odore acre e dal sapore disgustoso. Devoto e Oli lo definiscono come un’avversione profonda tenacemente covata nell’animo umano, in seguito ad un’offesa ricevuta.
L’offesa che provoca il rancore proviene in genere da una persona vicina da cui non ci si aspettava di ricevere del male. La sensazione è quella di essere pugnalati alle spalle. Pare che reazioni emotivamente forti siano scatenate da menzogne, comportamenti falsi e mancanza di rispetto.

Il dolore per l’offesa ricevuta può manifestarsi in reazioni di tristezza e paura nonché ansia che tale offesa possa ripetersi. Questo stato emotivo è accompagnato da rabbia quando ci si sente non solo offesi ma anche umiliati. Tali reazioni sono del tutto normali e funzionali se limitate ad un tempo “breve”. Quando invece persistono e sono accompagnate dal pensiero ruminativo, nonché dal desiderio di vendetta o dall’evitamento, diventano disfunzionali.
Come è facile intuire, la rabbia è il nucleo emotivo primario del rancore. Essa aiuta a sentirsi in diritto di difendersi, per cui ha una funzione importante. Come al solito sono la quantità e la durata a determinarne l’utilità o la nocività, proprio come accade con il cibo. Se per lungo tempo ci si nutre di rabbia in grandi quantità, la salute fisica e mentale ne risente inevitabilmente.
È fondamentale quindi arrabbiarsi e fare memoria del dolore che si è provato per l’offesa ricevuta. Attenzione! Fare memoria è ben diverso che rimuginare, ovvero pensare e ripensare allo stesso evento.
Ci si può chiedere: il rancore deve/può durare per sempre?

Di certo si può lasciare che il rancore duri per sempre ma in quel caso non si sta sfruttando il suo potenziale, piuttosto ci si sta affezionando alla rabbia e al malessere. Va da sé che c’è un tempo per il rancore e un tempo per il perdono, o almeno un tempo per lasciare andare e perdonarsi.
Si, perdonarsi… infatti quando ci si sente abusati, ingannati, umiliati, traditi, offesi, è inevitabile che una quota di rabbia sia rivolta verso sé.
Non ci si perdona di esserci cascati, di aver creduto, di essersi fidati e così via.
Il punto fondamentale è proprio questo: come si possono evitare ulteriori offese e ferite senza che il rancore logori l’anima?
La risposta sta nella capacità di ascoltarsi, di riconoscere, comprendere, esprimere ed elaborare tali vissuti per essere capaci di contrastare l’ingiustizia, proteggere la propria dignità e il proprio valore. In questo modo si eviterà di essere dominati dalle emozioni e ci sarà equilibrio in sé e con gli altri. Rabbia, paura e dolore possono diventare degli alleati invece che tossine velenose per sé stessi.
Inoltre, potrebbe essere d’aiuto cambiare prospettiva e ripensare all'accaduto tenendo presente che offendere qualcuno umiliandolo e ferendolo nella propria dignità rientra in una delle tante forme che può assumere la violenza psicologica. Di sicuro chi fa all’altro violenze di questo genere è guidato da una profonda sofferenza. Con molta probabilità le sue azioni sono frutto di eventi e sofferenze, spesso sottovalutate o addirittura ignorate, che hanno determinato senza possibilità di scelta ciò che è oggi.
In questa ottica diventa possibile perdonare o almeno lasciare andare.
Il perdono però non va mai banalizzato, tantomeno affrettato. Un perdono affrettato svaluta la ferita. Affinché ci possa essere un perdono autentico e non nocivo è importante che ci sia stata una elaborazione dell’esperienza e del vissuto doloroso attraverso cui riscoprire il proprio valore, ritrovare la propria dignità, imparare ad amarsi e a stare con gli altri difendendosi da persone nocive che possono recare ferite profonde.

È un processo che richiede coraggio e determinazione, spesso è necessario affidarsi ad un professionista
per essere sostenuti nei momenti più difficili ma, come si suol dire, se si vuole godere dell’immensità del panorama si deve essere disposti alla fatica della salita.
Dott.ssa Carmen Dattoli
Psicologa Psicoterapeuta in formazione
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BIBLIOGRAFIA:
Giusti E., Conte B., La terapia del per-dono. Dal risentimento alla riconciliazione., Sovera edizioni, 2009.
Kensyper L., Il risentimento e il rimorso. Uno studio psicoanalitico., Franco Angeli, Milano 2003.
SITOGRAFIA:
FONTI IMMAGINI:
Mark Kostabi
Johnson Tsang
Foto scattata dall'autore dell'articolo
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